Interviste

Intervista e curiosità, conosciamo la band dei Stanislao Sadlovesky

Stanislao Sadlovesky. Un’entità ontologica emerge intermittente dall’oscurità, come lampi di magnesio portatori di codici semantici e lessicali altri. Non ha volto, non ha collocazione geografica o anagrafica. È la voce interiore che si colloca tra il metapensiero e il reale, un’allucinazione acustica ipnagogica. Viene da un mondo con cicli solari velocissimi e stagioni dispari, modulate su interferenti flussi di coscienza a più livelli. Domina un senso di sovvertimento di tutte le leggi semantiche e di natura. L’impressione è di conversare con il je est un autre di Rimbaud, osservando le albe di una città a due soli mentre l’asfalto suppura delle rivolte dei vivi, o dei morti che si credono vivi, in una danza macabra ematica. Il cranio viene infilato tra due elettrodi che funzionano come casse sintonizzate su due canali audio divergenti, declinando i pensieri in modi e tempi differenti. Ed ecco che poi il lessico familiare si fa sottolinguale, una sorta di filastrocca autistica, dipanata tra i denti all’inizio di un giorno già finito. Stanislao è un viaggio sonoro, visivo e sinestetico che ci lascia attoniti, stralunati, altrove, con la corteccia cerebrale avvolta nel nastro isolante. Echi sonori sembrano provenire da galassie sconosciute, forse già collassate.  Arrivano come un’onda gravitazionale in differita. È una nuova declinazione (o deviazione) di teatro distopico che spiega se stesso, ogni volta diversamente, senza necessità di esegesi, semplicemente esistendo.

Dopo “Sangue per Zanzare” e “Il futuro si fa attendere” esce il debut album “Il declamatore”, pubblicato da Overdub Recordings e distribuito da Ingrooves/Universal Music Group. Scopriamo qualcosa di più su di loro e sul suo progetto.

Qual è stata l’ispirazione dietro il vostro nuovo album “Il Declamatore” e come è nato il processo creativo che lo ha portato alla luce?

È nato e cresciuto molto velocemente e semplicemente, dall’ amicizia dei 2 componenti. C’è stata la voglia di sperimentare, di spalmare i testi di Massimo sulla musica di Alessandro spontaneamente, divertendoci e senza pressioni. Quando l’elettronica ambient violata e compromessa ha deciso di nutrirsi voracemente di parole, l’album ha preso vita.

Oltre alla vostra esperienza personale, quali influenze musicali avete incorporato in questo lavoro discografico per creare un suono unico?

In effetti le esperienze personali sono fondamentali. Al di là di questo le nostre influenze culturali in generale e musicali nello specifico sono sconfinate. Citiamo, per dare un’idea: Tom Waits, i Negazione, Aphex Twin, Burzum.

Avete coinvolto altri artisti o produttori in questo progetto? Se sì, in che modo hanno contribuito alla creazione dell’album?

Abbiamo fatto tutto da soli. Testi, musiche, composizioni, arrangiamenti, mixaggio, grafiche, foto. Ospite in Quella Bambola, il pezzo d’apertura, è Anna Tarca, eccezionale interprete di musica antica. Il collega radiofonico ADL ha ispirato Gocce.

Parlando del processo creativo, c’è qualche aspetto della produzione del disco che ritenete particolarmente significativo durante il processo di realizzazione?

Era essenziale che musica e testi si cucissero insieme creando una cosa unica e, per quella che è la nostra sensazione, ciò è avvenuto. Anche la scelta della scaletta dei brani rende l’album un blocco credibile. Un viaggio visionario apparentemente senza meta.

Ci sono progetti o collaborazioni che sperate di realizzare nel prossimo futuro?

Per ora tutta la nostra attenzione deve essere concentrata sulla promozione dell’album appena uscito, affiancati dalla Overdub Recordings. Tutto il resto, addirittura il futuro, può attendere.